Belvedere – Note Vocali

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Era solo questione di tempo prima che si presentassero nuovi artisti lo-fi. O meglio, prima di scoprire altre perle nella parte strana di YouTube. E no, non si tratta solo di playlist per studiare in tranquillità.

Nelle “puntate precedenti” ho avuto modo di parlare di Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam e oggi passiamo a un suo collega. Di questa nuova famiglia ne sentiremo presto parlare.

Note vocali di Belvedere è un album che prende forma in una dimensione domestica. Ci si sente subito a casa, in quella cameretta dove si provano gli accordi, i pedali, le parole per una canzone che chissà se verrà mai registrata. Le canzoni sono un flusso di pensieri e speranze, della forma di vere e proprie note vocali. Hai presente quando senti di aver qualcosa da dire e non ti importa dell’orario, del momento sbagliato, della guerra che potresti scatenare? Hai presente quando dovresti pensare a ballare e invece hai lei in testa?

Le sonorità lo-fi che caratterizzano le canzoni del disco fanno volare. Sembra di stare a un palmo dal suolo, si fluttua, mentre tutto scorre. La voce conversa con l’ascoltatore – e con l’autore stesso – sopra chitarrine e melodie delicate. Siamo di fronte a un lavoro molto intimo, in cui Belvedere racconta momenti semplici, ma importanti. Sono quelli che danno vita alle sua canzoni, alle note, alle parole che si nascondono.

La giornata inizia e finisce in cameretta. Inizia e finisce con uno strumento in mano. E nelle migliaia di canzoni che si scrivono, poche sono quelle che alla fine rimangono. Come i ricordi migliori.

 

Belvedere – Note Vocali

Never Tell Me The Odds, solo per vere canaglie spaziali

C’era un cassonetto, una sexy doll androide, un capitano vanitoso accompagnato da un assistente senza diritti. Il Merda, così è stato battezzato. In tutto questo io ero un umile lemure senziente di nome Gonzalo, il cui unico scopo della vita era scappare da uno zoo e scoprire che l’amore si nasconde anche nel petto gelido di un russo. Baciava bene.

Tutto questo è avvenuto in qualche oretta di sessione dove abbiamo giocato a Never Tell Me The Odds. In questo gdr si vestono i panni di canaglie spaziali, pronte a tutto pur di realizzare il proprio progetto. Inseguimenti folli, sparatorie su pianeti lontani e gang di creature violente sono solo alcuni degli elementi che incontrerete in questo gioco. Potrete fare incontri peggiori. Come si dice in questi casi, l’unico limite è la fantasia.

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Never Tell Me The Odds è un gioco ideato da David Somerville e il progetto ha riscosso un discreto successo. Siamo di fronte a un gdr molto semplice, che non richiede particolare preparazione. Il master, in questo caso rinominato Maestro del Rischio, guiderà le canaglie in avventure tanto folli da nascondere pericoli insidiosi. E i giocatori dovranno scommettere tutto ciò che hanno di più caro per riuscire a salvarsi la pelle. O il metallo che hanno innestato.

Niente dadi questa volta. A decretare il risultato di un’azione sarà una semplice moneta. Testa o croce, è il caso che fa la trama. E che, come spesso può capitare, qualcuno potrà dire addio alla propria scheda.

NTMTO non ha grandi pretese. Rende perfettamente nelle one-shot, ma qualche master potrebbe osare e proporre un’avventura che duri nel tempo. Il sistema di gioco si impara velocemente, dopo una sola sessione saprete muovervi in quelle poche e semplici regole.

Perché giocare? Prima di tutto, un gioco di ruolo si prova sempre. Inoltre, questo titolo è una valida alternativa rispetto a quelli più consistenti, dove la mole di meccaniche e informazioni è decisamente superiore. Così anche i più pigri – vi vedo – hanno modo di scoprire che non tutti i gdr sono composti da tre manuali base, più quelli aggiuntivi. E le avventure, le armi, un bestiario infinito.

Trovate un party e buttatevi. Vi piacerà. Scommettiamo?

Never Tell Me The Odds, solo per vere canaglie spaziali

Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam – “Vedremo”

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Ognuno ha una guerra da combattere. Ognuno si muove tra i pericoli nascosti in una giungla di paure, di incertezze, di pensieri che non fanno dormire. Ognuno ha un suo Vietnam.

Vedremo è un disco che parla delle battaglie quotidiane, quelle a cui non si è mai pronti. Le racconta con una certa rassegnazione, come se sottrarsi fosse impossibile e la vittoria fosse qualcosa di lontano. Lo scopo non è vincere, ma rimanere a galla. Si cerca qualcosa che ci salvi, ma questo non appare. Bisogna contare sulle proprie forze, quelle che rimangono.

Dietro a questi scontri c’è Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam. Un progetto che si fa largo in un’atmosfera sognante e malinconica, dove le sonorità lo-fi sfumano in una nube di colori e note delicate. Le parti vocali hanno la forma di poesie, di flussi che trovano spazio su strumentali varie e sempre alla ricerca di nuovi modi per esprimere i sentimenti. In queste canzoni la musica e le parole sono più legate che mai. Sono un’unica cosa.

Luca Fois è il cuore del progetto, artista poliedrico che si è fatto notare in diversi generi musicali. Prima come rapper, sotto il nome d’arte Kaizer e poi come voce dei Quercia, band che in poco tempo ha fatto innamorare moltissime persone. Diversi stili, ma un’unico filo rosso: raccontare se stessi e le debolezze che – inevitabilmente – nascondiamo. Le utilizza quasi per trovare un modo di continuare, di non lasciare che queste tolgano la poca luce alle giornate.

In questo disco si ritrova il passato e il futuro del compositore. Si ascoltano anche le sue influenze e la sua continua ricerca di suoni, di espressioni che non si fermano al mero prodotto musicale. Il suo percorso artistico ci porterà su altri campi di battaglia, ma saremo sempre soli a combattere.

 

Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam – “Vedremo”

Metide – “Solution”

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Un album come Solution meriterebbe ore di discussione, di confronto, di analisi. I Metide hanno scritto qualcosa che respira, che cresce ascolto dopo ascolto.

Si sente subito una enorme sperimentazione. Dai riff alla struttura dei pezzi, si incontra qualcosa di insolito. Siamo di fronte a un progetto volutamente strutturato per accompagnare chi ascolta in un viaggio di (ri)scoperta, di se stessi e degli spazi che ogni giorno viviamo. Gli stessi che nascondono una realtà molto più profonda di quanto possiamo lontanamente immaginare.

Dopo i primi accordi prendono forma atmosfere poliedriche, capaci di modificare e plasmare la percezione dell’ambiente attorno. La sensazione è quella che la musica prenda una forma concreta e che guidi l’ascoltatore in quei corridoi infiniti della crescita umana. Ogni traccia è una tappa che invita a indagare il passo successivo e il percorso tracciato al nostro interno. C’è il rischio di perdersi, ma poi si vede la luce in fondo al tunnel.

Ho sempre amato gli album coraggiosi, quelli che si spingono oltre le “norme” di un particolare genere. Anche per questo motivo risulta difficile inquadrare i Metide. La volontà di concentrarsi sulle suggestioni piuttosto che sulla sulla struttura canonica di una canzone dà all’interno album una profondità non comune. È la ricerca. La ricerca nata da esigenze viscerali, quando quello che vedi sta stretto e non fornisce più stimoli. La mancanza di veri e propri punti di riferimento porta a cercarne altri, portando spesso a nuove  conquiste.

Buon viaggio.

Metide – “Solution”

Five Minutes Hate – “A new death”

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Continua la saga “album usciti in quarantena”. Mea culpa se non ne ho parlato prima.

Si vola in Piemonte per la seconda fatica dei Five Minutes Hate intitolata A new death.

Non ascolto mai un disco una volta soltanto. Cerco sempre di trovare più sfumature possibili, quei piccoli dettagli che possono sfuggirmi. In questo caso l’ho messo in loop per diverse ragioni.

A new death si presenta subito come un album completo, che sa il fatto suo. Il sound ha un chiaro marchio metalcore, con impronte melodiche e quella rabbia che conraddistingue questo genere. I riff sono vari, vorticosi e ricercati. C’è una sorta di sperimentazione che non si allontana dalla tradizione americana e, in qualche punto, nord europea. La voce non si risparmia, si fa largo in un tappeto di suoni con un carisma invidiabile.

Le canzoni contenute nel progetto sono collegate da un concept che rimanda all’album precedente. Affiora uno scenario post-apocalittico, dove si rinasce attraverso la morte. Desolazione, disordine, caos regnano in questa dimensione che abbraccia tutte le cose.

Dieci tracce d’odio, gli amanti del metalcore apprezzeranno.

Five Minutes Hate – “A new death”

Non sta andando tutto bene, intanto ascoltiamo nuova musica

Il mondo della musica, indipendente e non, ha subito un duro colpo durante questa emergenza. Dagli artisti ai tecnici, nessuno è stato risparmiato e rialzarsi sarà un’impresa ardua. A chi mancano gli amici sotto il palco, i banchetti, i festival che non dovrebbero mai finire?

“Lo spirito continua” dicevano i Negazione e al momento non ci resta che crederci davvero. E proprio per questo motivo è doveroso segnalare qualche dischetto uscito durante la quarantena. Un tridente tutto italiano che

L’Oceano Sopra – “Kéreon”

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Ne sentirete parlare. Speriamo presto.

L’Oceano Sopra è un progetto che ritorna con un album diretto, devastante. Già dalle prime note si capisce che il ritmo è da guerra, incalzante e non intende lasciare nemmeno un secondo di pausa. I testi sono introspettivi e le parole cavalcano una corrente di suoni che cresce di intensità. Si viene proiettati in un mare in tempesta, che non si ferma e rompe la pancia delle navi.

Kéreon sono le onde contro gli scogli.  Promosso a pieni voti, ancora.

O – “Antropocene”

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Amanti del black metal unitevi.

O è una garanzia nella musica oscura italiana e Antropocene conferma lo spirito della band di Biella. In questa seconda tappa del loro viaggio, i ragazzi creano un’atmosfera decisamente più opprimente, da togliere il fiato per lo spessore della sonorità. Si respira a fatica, come se fossimo in una nebbia di distorsione e urla. Avete presente i loro live? Ecco, hanno impresso quell’aria su un disco in continua evoluzione, inarrestabile.

Rope – “Crimson Youth”

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Diciamolo, i Rope hanno creato da subito una certa curiosità nell’ambiente. E l’aspettativa è stata rispettata alla grande. Crimson Youth è un disco bellissimo e non c’è altro modo di dirlo.

Al suo interno ci sono diverse influenze, tutte figlie di uno spirito punk e rock’n’roll che ha tanta voglia di farsi sentire e di continuare a suonare fino a tardi. Non poteva esserci pezzo migliore di No more chance per aprire le danze e abbandonarsi al mood dell’album. 4AM and still here è la canzone degli abbracci e delle birrette sotto il palco, We are the lads è da suonare in situazioni come il Venezia Hardcore.

Iniziamo a rialzarci da qua.

Non sta andando tutto bene, intanto ascoltiamo nuova musica

Noah Cicero, Nature Documentary

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Arrivo sempre in ritardo, ma alla fine arrivo. Un po’ di pazienza.

Tempo fa ho conosciuto degli scrittori e editori americani con i quali sono rimasto in contatto. Li ho intervistati, mi hanno presentato quello che succede nel Nuovo Mondo tra una pagina da scrivere e un match di wrestling. Seguo le loro pubblicazioni, ogni tanto si chiede qualche consiglio, si parla in generale. Cose così.

Ho iniziato ad addentrarmi e innamorarmi del mondo “indie” (se proprio dobbiamo etichettarlo) della letteratura americana. Scavando sempre di più ho scoperto un microcosmo di editori e autori che scrivono pezzi incredibili. E si spazia dalla fiction alla poesia, dai racconti brevi a romanzi impensabili. La cosa importante è che il genere non è quella cosa fondamentale. Si scrive per necessità, per passione, perché l’Adderall non scende. Proprio come avviene qua in Italia, no?

L’ultimo libro che mi ha particolarmente colpito è stato Nature Documentary di Noah Cicero, edito da House of Vlad Press (2019). Ripeto, arrivo sempre in ritardo e in questo caso l’ho letto alla terza ristampa, ma eccomi fresco e pronto per parlarne.

Nature Documentary è una raccolta di poesie, divisa in tre parti. Ognuna di queste è raccontata da un verso, una sorta di filo rosso che riporta un particolare momento vissuto dall’autore. Un dialogo, una riflessione, la presenza di una persona al proprio fianco.

She doesn’t know Spanish,

but she knows what death means.

Noah Cicero si serve di un linguaggio semplice e in grado di dar forma a immagini che non si riesce a dimenticare. Si muove tra la dolcezza di una confessione e l’ironia con cui guarda ciò che ha intorno. La società, le debolezze delle persone diventano elementi che bruciano, che scatenano emozioni amare, rassegnate, impotenti. E non possiamo che chiederci: quanto siamo diversi da queste persone? Quanto siamo parte della società?

La poesia di Noah è una lama affilata, di quelle di ghiaccio che non lasciano indizi. Rimane un taglio di riflessioni, una ferita aperta che brucia e che lascia nervi scoperti, cibo per gli avvoltoi. E forse non siamo altro che pensieri con le debolezze in vista, sotto gli occhi di tutti.

In queste pagine ho ritrovato quello spirito poetico che temevo di non trovare più. I libri di poesia sono qualcosa di prezioso, ma spesso mancano di fuoco. Versi su versi per lasciare infine lo stesso vuoto che avevo prima di leggerlo. La poesia deve togliere le forze, animare nuove immagini, spaccarti i denti. Nature Documentary è quel libro che dovevo incontrare per tornare a vedere la poesia come qualcosa di umano e non come un prodotto indie per copywriter indie da social network.

Il mondo letterario indie americano nasconde autori dalla penna letale. Provate, sarà un bellissimo viaggio.

Sui gruppi Facebook di poesia si è soliti ringraziare in un commento l’autore di versi particolarmente belli. Non ho mai capito il motivo. Ora, invece, mi sento più leggero a dirlo. Grazie Noah.

 

Noah Cicero, Nature Documentary

Demersal – “Less”

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Mi arriva una mail da una band danese. Penso wow, apro e scopro che il materiale è qualcosa di fortissimo. Ed è forte perché completo, almeno per quelli che sono i miei umili et bellissimi gusti.

I Demersal sono una stati una bellissima scoperta. Mi hanno fatto ascoltare Less, la loro ultima fatica e finalmente ne riesco a parlare.

Un mix tra “hardcore nero”, screamo e influenze che spaziano dal post-rock all’emo. In otto tracce la band danese condensa stati d’animo differenti, indaga le complessità delle relazioni e ciò che le rende tanto speciali. La voce, forte e fagile allo stesso tempo, urla quelle parole che forse non ha detto al momento giusto. E sotto si forma un tappeto di suoni simile al chaos che ogni giorno si vince, che si conosce. Che la maggior parte delle volte si fatica comunque a comprendere.

C’è energia in queste canzoni. C’è quella cieca ostinazione che spinge a provarci, a cercare di fare andare le cose per il meglio, anche quando la realtà dimostra il contrario. Si sa, rialzarsi è difficile e spesso persino doloroso. Eppure i Demersal usano quel dolore per urlare al mondo che hanno trovato un modo per soffrire di meno.

Gli amanti del blackened hardcore non rimarranno di certi delusi da questo gioiello. Sono curioso di vederli live, immagino già i feelings.

 

 

Demersal – “Less”

The Love Supreme – “A shade of yellow very close to the gold album”

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Il san Valentino del 2020 sarà ricordato per l’uscita di un disco che ha entusiasmato il popolo hardcore di internet. Un regalo migliore dei Baci Perugina o di una passeggiata mano nella mano sotto l’arena di Verona.

The Love Supreme è la band che ha scritto le sette tracce che compongono questo atto d’amore verso la musica e chi si ostina ancora a crederci con tutte le energie. In un momento in cui pareva che le acque fossero calme – troppo, direi – finalmente si ascolta qualcosa che dà speranza a tutti.

Scalford rain apre le danze e si capisce subito che non sarà facile resistere ai colpi che sparano questi ragazzi. Sonorità grezze, ritmi serrati, pochi momenti in cui riprendere fiato e via che si ritorna a ballare. Le influenze sono molteplici, dallo screamo più agguerrito alle sfumature rock’n’roll. Romanticismi e scorrettezze a parte, lo spirito è sempre quello punk che ci fa volare altissimo. Senza prendersi troppo sul serio, la band ha dato vita a tracce spesse.

A shade of yellow very close to the gold album è di certo un prodotto maturo. I membri della band provengono da esperienze di un certo spessore come Die Abete, Cayman The Animal, Bennett, Tutti I Colori Del Buio, Rope, Chambers, Six Feet Tall e le varie esperienze da cui provengono si fanno sentire, dando valore al tutto. ‘sticazzi non lo diciamo?

Love is in the air, punk hardcore too.

The Love Supreme – “A shade of yellow very close to the gold album”

Carlo Corallo – “Can’tautorato”

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Ho avuto modo di dirlo in precedenza e si presenta un’ottima occasione per ribadirlo: Carlo Corallo è l’artista di cui avevamo bisogno.

Andrei oltre la questione puramente legata al genere musicale. Ha dimostrato in ognuno dei suoi lavori quanto fosse il valore aggiunto all’interno della scena rap italiana. Tecnica, contenuto, stile, flow, immaginario. Devo continuare?

È arrivato un nuovo disco. Si intitola Can’tautorato.

Questo album è l’ennesima conferma di un talento raro. Carlo Corallo è musicista, autore, storyteller, rapper. Scrittore, si può dire. Si è fatto conoscere in A luce spenta avrai paura dei fantasmi, poi capirai che anche la luce è uno spettro e nell’EP Dei comuni. Suoni caldi, parole in grado di evocare paesaggi e momenti quotidiani. Si respira l’aria della Sicilia, i profumi dei suoi frutti. Racconta di incontri che avvengono in città, nei bar silenziosi quando fuori piove e c’è solo lei di fronte.

Con Carlo Corallo si ascolta qualcosa di letterario. Gioca con le parole come se le avesse inventate lui. Le dispone con una dolcezza e una maestria degne dei grandi autori, quelli che si studiano sui libri di scuola e negli atenei universitari. C’è poesia nei suoi testi, amplificata da tecnicismi che non sono mai pesanti o noiosi. Insomma, gli incastri non sono un esercizio di stile per dimostrare che anche lui sa scrivere le rime. È qualcosa di più, qualcosa di così naturale che se non ci fosse non sarebbe Carlo Corallo. E chi ha avuto modo di seguire il suo percorso artistico ha capito questo suo tratto naturale.

Can’tautorato” propone un sound nuovo, pur mantenendo i rapporti con le origini e le melodie “classiche” dell’hip-hop. Si aggiunge altro. Il pianoforte, quel bellissimo pianoforte sempre presente, guida a un ascolto dolce quanto una carezza. In certi passaggi sembra quasi di avere un dialogo con il musicista, per l’aria intima che si respira. Immaginatevi di trovarvi a un tavolo con lui e di potervi confidare. Mi piace pensare che tante delle sue tracce siano state scritte a seguito di questi colloqui isolati.

Il suo lavoro impressiona per l’umiltà e l’onestà con cui si fa conoscere. Non ha bisogno di crearsi un personaggio, di millantare ricchezze o una vita lussuosa per ottenere l’attenzione dell’ascoltatore. Sono le rime che parlano per lui.

Ancora una volta Carlo Corallo dà dignità al rap. Gli conferisce una nota poetica forte, elegante. Lo eleva.

Già si aspetta il prossimo lavoro.

 

Carlo Corallo – “Can’tautorato”